A tocchi, a tocchi, la campana sona è una canzone tradizionale romana cantata tra gli altri da Giovanna Marini, Alvaro Amici, Claudio Villa e Lando Fiorini.

La canzone è nota anche come “A la renella”, “Er canto del carcerato” o “Come te posso amà”. Il testo infatti è cantato amaramente da un carcerato separato dall’amore (Come te posso amà?).
Sembra che la canzone sia stata composta nel Settecento
Anche la tematica del carcere, oltre che ovviamente quella “romantica”, non è rara nella canzone romanesca. Ne avevamo già parlato a proposito di “Nun je da retta Roma“.

Il carcere citato nella versione del testo che abbiamo scelto è “San Michele”, si tratta di uno storico carcere minorile (il carcere denunciato da Sciuscià di De Sica). A cantare la canzone, sarebbe quindi un minorenne. In molte altre versioni il nome del carcere è però diverso (ad esempio Rebibbia in quella cantata da Lando Fiorini). Il complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande nasce tra fine Seicento ed inizio Settecento come struttura polifunzionale (ospitava infatti anche un ospizio ed un orfanotrofio).

Giovanni Battista Nolli, Nuova topografia di Roma, San Michele e il porto di Ripa Grande, 1748.

Giovanni Battista Nolli, Nuova topografia di Roma, San Michele e il porto di Ripa Grande, 1748.


La canzone è sicuramente molto triste, ma resta nel carcerato la speranza di uscire, anche per vendicarsi (quarchiduno me l’ha da pagà).
Molto bella è sicuramente l’invettiva contro il fato avverso, la “sfortuna”, contenuta in una delle ultime strofe.

Testo di “A tocchi, a tocchi la campana sona”

A tocchi, a tocchi, la campana sona:
li turchi so’ arivati a la marina
chi cià le scarpe rotte l’arisola,
le mie l’ho arisolate stamatina.

Come te posso amà?
Come te posso amà?
Si esco da ‘sti cancelli
quarchiduno me l’ha da pagà.

Amore, amore, manname un saluto;
sto drento a San Michele carcerato
me sento come n’arbero caduto,
da amichi e da parenti abbandonato.

Come te posso amà?
Come te posso amà?
Si esco da ‘sti cancelli
quarchiduno me l’ha da pagà.

E si de’ sfortunati stanno ar monno,
uno de quelli me posso chiamare
butto ‘na paja a mare e me va a fonno,
all’antri vedo er ferro galleggiare.

Come te posso amà?
Come te posso amà?
Si esco da ‘sti cancelli
quarchiduno me l’ha da pagà.